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Emanuele Cappa*, Giulio Cappa*, Alberta Felici

(*) C.A.I. - sez. Frascati

SPELEOLOGIA NEI MONTI SIMBRUINI (Appennino centrale)


Inquadramento geografico
Il gruppo montuoso dei Simbruini costituisce la parte centrale della catena preappenninica che si erge bruscamente dai rilievi collinari del Cicolano (Rieti) a Ovest e prosegue verso SE col sistema dei Monti Cantari ed Ernici, per concludersi, ancora una volta bruscamente, sopra Sora (Frosinone). Il massiccio è diviso per il lungo (WNW-ESE) dal confine tra le regioni Lazio ed Abruzzo. La parte laziale è costituita in Parco Regionale: ad essa si accede dall'autostrada A24 Roma-L'Aquila-Pescara o dalla parallela SS5 Tiburtina Valeria, imboccando sotto Anticoli Corrado la SS 411 per Subiaco; da questa città, o dalle vicine Cervara di Roma e Vallepietra, salgono comode strade fino agli altopiani superiori (Campaegli, Livata e Campo dell'Osso, ecc.); per la parte estrema orientale dei Simbruini occorre invece spingersi lungo la valle dell'Aniene fino a Trevi e poi Filettino e salire a Campo Staffi.
Il settore abruzzese può essere raggiunto (sempre tramite l'autostrada A24 o la statale Tiburtina Valeria) da Tagliacozzo, salendo a Marsia oppure a Cappadocia e da questa a Campo Rotondo, e da Carsoli salendo a Pereto.
Una rete di strade bianche percorre per molte decine di chilometri le aree sommitali: non sempre sono in buono stato e in parte risultano soggette a vincoli di transito (nelle aree del Parco), ma risultano essenziali per coprire le notevoli distanze dai centri abitati, soprattutto quando occorre trasportare i tipici carichi "speleologici".
I Monti Simbruini sono delimitati a Sud dal lungo e incassato percorso del fiume Aniene; a nord dal fiume Imele, dalla piana del Fucino e, più ad Est, dal fiume Liri. Al loro interno non esistono corsi d'acqua perenni, fatta eccezione per il breve tratto iniziale del F. Liri; il massiccio è però diviso morfologicamente per oltre metà della sua lunghezza in due parti dal Fosso del Fioio, quasi sempre asciutto, lungo il quale corre anche il confine politico regionale.

Cenni di geologia e tettonica
La struttura geologica è costituita in grande prevalenza da una sequenza carbonatica del Giurassico e, soprattutto, del Cretacico, dovuta all'evoluzione di una piattaforma epioceanica sottoposta a costante subsidenza, la quale ha dato luogo ad una serie sedimentaria che raggiunge complessivamente uno spessore di 6000m. Essa, per almeno due terzi, è costituita da depositi calcarei e dolomitici, particolarmente favorevoli allo sviluppo di fenomeni carsici.
Al di sopra si trovano depositi cenozoici, per lo più del Miocene, comprendenti ancora calcari ma anche marne e formazioni argilloso arenacee. Queste ultime, come i successivi depositi plio-pleistocenici di conglomerati, travertini e piroclastiti, si presentano in lembi isolati.
Il massiccio è stato frammentato da una complessa tettonica con faglie e fratture antiche orientate prevalentemente sia in senso longitudinale ("appenninico") che trasversale ("anti-appenninico"), alle quali ha poi fatto seguito una "neotettonica" con orientazioni preferenziali N-S ed E-W: alla tettonica è correlata la conformazione del massiccio, caratterizzata da fianchi molto acclivi, lungo quasi tutto il contorno, e grandi altopiani nella sua parte interna; anche ad essa ma soprattutto alla neotettonica plio-pleistocenica è correlato lo sviluppo del carsismo profondo.

Fenomeni carsici e idrologia sotterranea
I fenomeni carsici più evidenti sono quelli superficiali delle aree sommitali: migliaia di doline e dolinette, grandi campi carsici e polja (nel Lazio: Camposecco, Campo Buffone, Campaegli, ecc.; in Abruzzo: Campo Lungo, Campo Rotondo, Valle della Dogana, ecc.), qualche vallecola cieca; di secondaria rilevanza appaiono le forme minute, quali campi solcati e fori, forse per la presenza in molte parti pianeggianti e denudate di calcari più impuri, e per la grande estensione della copertura forestale.
Di notevole rilievo sono le sorgenti, poste in massima parte lungo la valle dell'Aniene ma alimentanti anche il F. Liri ed il F. Imele. La loro portata complessiva è una conferma della quasi totale assenza di ruscellamento superficiale anche nei periodi piovosi. L'Aniene deve le sue acque nella parte a monte di Subiaco a sorgenti carsiche quasi tutte connesse a cavità naturali note; più a valle da emergenze in alveo o nei sedimenti sciolti che ne fiancheggiano il corso, anche queste comunque di provenienza da reticoli di drenaggio del carsismo sotterraneo. Questo imponente flusso idrico assicura il funzionamento di una collana di centrali idroelettriche ed alimenta due grandissimi acquedotti: l'Acqua Marcia (che confluisce nella rete di Roma ed è, da oltre 2000 anni, considerata tra le migliori acque potabili) ed il Simbrivio (che rifornisce molti centri abitati del Lazio sud-orientale). Già ai tempi della Roma imperiale le sorgenti dell'Aniene soddisfacevano ad oltre il 70% (8,5 mc/sec) del fabbisogno della città alla quale giungevano tramite ben quattro acquedotti, lunghi complessivamente 288Km, molti dei quali costituiti da condotte sotterranee scavate nella viva roccia.

Il carsismo profondo
Ma che cosa conduce, dai grandi piani d'assorbimento, queste acque fino alle sorgenti? Questo è il quesito che assilla da decenni gli speleologi perché in quell'area si conoscono poche grotte e tutte, per di più, di moderato sviluppo e profondità. Nonostante l'intensificarsi delle ricerche in questi ultimi anni, nel settore laziale dei Simbruini sono note solo circa 80 cavità (pari a un modesto 6% delle oltre 1300 catastate nell'intera regione); soltanto una supera il chilometro di sviluppo e nessuna i 250m di profondità. Queste grotte sono in prevalenza raggruppabili in due classi: quelle verticali, che si aprono sugli altopiani, e quelle sub-orizzontali, risorgive attuali o fossili, poste alle quote più basse.
Nel settore abruzzese il numero di cavità è ancora più limitato, una trentina circa: mancano praticamente le cavità verticali profonde, nonostante una grande abbondanza di forme superficiali endoreiche, probabilmente a causa della presenza di estese aree di calcari impuri o molto fittamente fratturati; il solco vallivo che da Tagliacozzo sale a Petrella Liri per poi scendere a Capistrello ha generato alcune cavità di attraversamento, percorribili solo in piccola parte: tipico il comportamento del F. Imele che, dopo essere nato sotto Verrecchie, scompare quasi subito nell'omonimo inghiottitoio (28 A) per ricomparire a Tagliacozzo sotto forma di bocca sifonante dalla sorgente Capacqua.
Questi dati devono essere messi a confronto con i "potenziali" speleologici derivabili dalle osservazioni globali: il dislivello tra gli inghiottitoi di quota più elevata (1400-1700m slm) e le sorgenti (330-700m) supera largamente i 1000m; l'estensione dei bacini che alimentano ciascuna delle sorgenti di maggiore portata arrivano a valori di Dunque 50-100Kmq. ci si deve aspettare di poter esplorare cavitemittenti lunghe à assorbenti profonde più di tre volte i massimi attuali e cavità non meno di 10Km.
Per le prime gli ostacoli che hanno finora vanificato le discese sono le frane (conseguenti alla notevole fratturazione della roccia) e le strettoie (tipiche dei tratti iniziali, dove le portate sono limitate, e delle zone più dolomitizzate). Per le seconde sono ancora le frane, le ostruzioni concrezionali, i salti in risalita e, soprattutto, i sifoni (nell'unica grotta che supera il chilometro, due terzi sono sempre sommersi).
Infine occorre tener presente che la complessa tettonica del massiccio, con ripetizioni locali delle serie sedimentarie, può aver generato livelli di base sospesi, di notevole estensione ma non direttamente sboccanti all'aperto.
Il quadro della situazione, così delineato, può apparire sconfortante e, in effetti, per una speleologia di tipo tradizionale lo è abbastanza. Ma deve essere interpretato come una sfida: grandi cavità nel cuore di questo massiccio "devono" esistere. Occorre scoprirle, con tenacia esplorativa e con tecniche più moderne, forse più costose, tuttavia già usate in altre regioni con successo. I risultati di qualche campagna ci sono di esempio e le descrizioni di grotte, che seguono in queste pagine, ne sono conferma.
Innanzitutto occorre un controllo capillare e frequentemente ripetuto di tutto il territorio: l'ingresso del Nessuno (non ancora accatastato), uno degli abissi più profondi, si è aperto nel bosco - a oltre 1Km dalla strada bianca più vicina - solo pochi mesi prima della sua scoperta. Molte doline ed inghiottitoi sono in rapida evoluzione, di anno in anno si approfondiscono e qualcuno mostra i segni di una prossima apertura. Il ramo attivo del Pertuso (100La) è stata pure una recente scoperta: lo sbocco di un condotto che raccoglie l'acqua convogliata da circa 75Kmq di superfici endoreiche soprastanti è stato "violato" aprendosi la strada in un dedalo di cunicoli e strettoie che hanno permesso di aggirare due sifoni ed avanzare per qualche centinaio di metri in ambienti meravigliosamente concrezionati; tuttavia ciò non ha placato la nostra sete esplorativa perché un semplice calcolo geometrico ci dice che il solo collettore principale deve essere lungo svariati chilometri.
All'Inferniglio (21La) gli speleosub francesi negli ultimi tre anni hanno compiuto immersioni per centinaia di metri: dopo quattro sifoni sono fermi davanti ad altre gallerie sommerse ed a risalite da compiere in artificiale, compiti non impossibili ma certamente molto impegnativi.
Altri gruppi montuosi del Lazio sono stati finora assai meno avari di grotte: nei Monti Lepini, più bassi e meno estesi, sono già note 467 grotte, pari al 37% della regione. Evidentemente i Monti Simbruini restano una "riserva" per la speleologia del prossimo futuro, uno scrigno nascosto che vuole riservare meravigliose sorprese solo agli speleologi che sapranno trovare le chiavi segrete per aprirlo.